Il Paradosso dell’Alcol: La Sostanza Che Ci Unisce… e Ci Distrugge

L’alcol è una delle sostanze più antiche, diffuse e accettate al mondo. È celebrato in feste, brindisi e riti sociali, ma dietro la sua immagine conviviale si nasconde una realtà ben più oscura. Ogni anno, l’alcol provoca più morti di guerre, terrorismo, omicidi e incidenti stradali messi insieme. I danni non si limitano al corpo di chi lo consuma, ma si estendono a famiglie, comunità e intere economie.

Un’arma biologica in un bicchiere

L’alcol etilico si forma naturalmente dalla fermentazione: un meccanismo evolutivo delle piante e dei microrganismi per eliminare la concorrenza microbica. Quando entra nel corpo umano, inonda il cervello alterando il delicato equilibrio dei neurotrasmettitori. In pochi minuti abbassa le inibizioni, amplifica la sensazione di benessere e favorisce la connessione sociale. È proprio questo “effetto sociale” che lo ha reso così radicato nella cultura umana.

Un nemico silenzioso per il corpo e la mente

Dietro gli effetti inizialmente piacevoli, l’alcol danneggia in modo progressivo organi vitali come cervello, fegato e cuore. Aumenta il rischio di malattie cardiovascolari, epatiche e di almeno sette tipi di cancro. Nei giovani, il rischio è amplificato: il cervello continua a svilupparsi fino ai 20-25 anni, e l’esposizione all’alcol può compromettere funzioni cognitive e memoria. Inoltre, l’alcol è responsabile di incidenti, episodi di violenza e traumi che spesso colpiscono anche chi non ha bevuto.

La dipendenza invisibile

Circa 400 milioni di persone nel mondo soffrono di disturbo da uso di alcol. Spesso la dipendenza resta nascosta, camuffata da un consumo “sociale” normalizzato. In molte culture, il rifiuto di bere è ancora visto come un’eccezione, non come una scelta di salute.

Nuove generazioni, nuove tendenze

Un segnale di speranza arriva dalla Generazione Z: rispetto ai coetanei di vent’anni fa, molti giovani bevono meno e praticano meno binge drinking. Tuttavia, questa riduzione si accompagna anche a un minor numero di occasioni sociali, con un aumento di solitudine e disagio psicologico.

Verso un futuro senza “supporto chimico”

Per superare la dipendenza culturale dall’alcol, occorre ripensare i nostri spazi di socialità. Servono ambienti e occasioni che facilitino il contatto umano autentico, senza l’illusione di un coraggio liquido. Connettersi in modo genuino è possibile — e il vero “brindisi” sarà alla salute, non al bicchiere.


Fonti scientifiche

  1. World Health Organization (WHO) – Global Status Report on Alcohol and Health 2018
    https://www.who.int/publications/i/item/9789241565639
  2. National Cancer Institute – Alcohol and Cancer Risk
    https://www.cancer.gov/about-cancer/causes-prevention/risk/alcohol/alcohol-fact-sheet
  3. Centers for Disease Control and Prevention (CDC) – Excessive Alcohol Use and Risks to Health
    https://www.cdc.gov/alcohol/fact-sheets/alcohol-use.htm
  4. Harvard T.H. Chan School of Public Health – Alcohol: Balancing Risks and Benefits
    https://www.hsph.harvard.edu/nutritionsource/alcohol-full-story/
  5. Grant, B. F., et al. (2017). Epidemiology of DSM-5 Alcohol Use Disorder: Results from the National Epidemiologic Survey on Alcohol and Related Conditions III. JAMA Psychiatry, 72(8), 757–766.
    https://jamanetwork.com/journals/jamapsychiatry/fullarticle/2300494

Mentolo e Litio Contro l’Alzheimer: Una Ricerca Rivoluzionaria o un Mito da Sfatare?

L’Alzheimer, una delle malattie neurodegenerative più temute, continua a sfidare la scienza. Recentemente, un lettore ha condiviso un’affermazione intrigante: una ricerca dell’Università di Edimburgo avrebbe dimostrato che l’inalazione di mentolo migliora rapidamente le capacità cognitive nei topi affetti da Alzheimer, e che il litio, già usato per la depressione, influisce pesantemente sulla malattia. Ma quanto c’è di vero in queste affermazioni?

Mentolo e Litio Contro l’Alzheimer: Una Ricerca Rivoluzionaria o un Mito da Sfatare?


Scaviamo nelle evidenze scientifiche per separare i fatti dalle speculazioni.

Mentolo e Alzheimer: Un Aiuto Inaspettato?


L’idea che il mentolo, un composto presente nell’olio di menta, possa migliorare le funzioni cognitive nei topi con Alzheimer è affascinante. Il mentolo è noto per attivare il recettore TRPM8, che può avere effetti antinfiammatori e neuroprotettivi.

Alcuni studi hanno esplorato il ruolo di compondi aromatici nella riduzione dell’infiammazione cerebrale, un fattore chiave nell’Alzheimer. Tuttavia, non abbiamo trovato studi specifici dell’Università di Edimburgo che confermino un miglioramento rapido delle capacità cognitive nei topi tramite l’inalazione di mentolo.

Una ricerca generica su composti volatili, come gli oli essenziali, suggerisce che alcuni possono modulare l’infiammazione o lo stress ossidativo nel cervello, ma il mentolo in sé non è stato identificato come un trattamento diretto per l’Alzheimer. Ad esempio, uno studio del 2017 su Frontiers in Pharmacology ha esaminato gli effetti di oli essenziali su modelli animali, ma non ha evidenziato il mentolo come un candidato specifico per l’Alzheimer. Senza dettagli precisi (es. anno della ricerca o nome del ricercatore), l’affermazione rimane non verificata.

Verdetto: L’ipotesi che il mentolo migliori rapidamente le capacità cognitive nei topi con Alzheimer non è supportata da evidenze concrete. Potrebbe trattarsi di una confusione con studi su altri composti aromatici o di una ricerca non ancora pubblicata. Se hai sentito parlare di questo studio, condividi i dettagli nei commenti!

Litio: Un Alleato Contro l’Alzheimer?

La seconda parte dell’affermazione riguarda il litio, un farmaco usato da decenni per trattare il disturbo bipolare e alcune forme di depressione. Qui le evidenze sono più solide. Il litio inibisce l’enzima glicogeno sintasi chinasi-3 (GSK-3), coinvolto nell’accumulo di proteina tau iperfosforilata e placche amiloidi, due caratteristiche distintive dell’Alzheimer.

Uno studio del 2013 pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease ha dimostrato che il litio può ridurre la patologia amiloide in modelli murini di Alzheimer, migliorando alcuni aspetti cognitivi. Una revisione sistematica del 2019 su Frontiers in Aging Neuroscience ha suggerito che basse dosi di litio potrebbero rallentare il declino cognitivo in pazienti con lieve deterioramento cognitivo o Alzheimer precoce. Tuttavia, i risultati clinici sono misti, e il litio non è ancora un trattamento standard per l’Alzheimer a causa di effetti collaterali e dati non conclusivi.

Verdetto: Il litio ha un ruolo promettente nella ricerca sull’Alzheimer, ma non è una cura consolidata. L’affermazione è parzialmente corretta, ma sovrastima l’impatto attuale del litio.

Conclusioni: Speranza o Cautela?

La possibilità che sostanze comuni come il mentolo o farmaci noti come il litio possano combattere l’Alzheimer è allettante, ma richiede cautela. L’affermazione sul mentolo manca di evidenze specifiche, mentre quella sul litio è supportata da studi, anche se con limitazioni. La ricerca sull’Alzheimer è in continua evoluzione, e scoperte future potrebbero confermare o smentire queste ipotesi.

Hai sentito parlare di questa ricerca di Edimburgo o di altri studi simili? Condividi le tue informazioni nei commenti, e aiutaci a fare luce su queste affascinanti prospettive!


Fonti:

– Hampel, H., et al. (2013). “Lithium trial in Alzheimer’s disease: a randomized, single-blind, placebo-controlled, multicenter 10-week study.” Journal of Alzheimer’s Disease, 36(4), 689-700. DOI: 10.3233/JAD-130103

– Matsunaga, S., et al. (2019). “Lithium as a Treatment for Alzheimer’s Disease: A Systematic Review and Meta-Analysis.” Frontiers in Aging Neuroscience, 11, 163. DOI: 10.3389/fnagi.2019.00163

– Scuteri, D., et al. (2017). “Aromatherapy and Aromatic Plants for the Treatment of Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia in Patients with Alzheimer’s Disease.” Frontiers in Pharmacology, 8, 429. DOI: 10.3389/fphar.2017.00429

  • Evidenze scientifiche: Uno studio del 2013 pubblicato su Journal of Alzheimer’s Disease ha dimostrato che il litio può ridurre la patologia amiloide in modelli murini di Alzheimer, migliorando alcuni aspetti cognitivi. Una revisione sistematica del 2019 su Frontiers in Aging Neuroscience ha suggerito che basse dosi di litio potrebbero rallentare il declino cognitivo in pazienti con lieve deterioramento cognitivo o Alzheimer precoce. Tuttavia, i risultati clinici sono misti, e il litio non è ancora un trattamento standard per l’Alzheimer a causa di effetti collaterali e dati non conclusivi.
  • Limiti: Definire il litio “pesantemente influente” sulla malattia è un’esagerazione. Sebbene mostri potenzialità, il suo uso clinico è limitato, e ulteriori studi sono necessari per valutarne l’efficacia e la sicurezza a lungo termine.

Verdetto: Il litio ha un ruolo promettente nella ricerca sull’Alzheimer, ma non è una cura consolidata. L’affermazione è parzialmente corretta, ma sovrastima l’impatto attuale del litio.Conclusioni: Speranza o Cautela?La possibilità che sostanze comuni come il mentolo o farmaci noti come il litio possano combattere l’Alzheimer è allettante, ma richiede cautela. L’affermazione sul mentolo manca di evidenze specifiche, mentre quella sul litio è supportata da studi, anche se con limitazioni. La ricerca sull’Alzheimer è in continua evoluzione, e scoperte future potrebbero confermare o smentire queste ipotesi.Hai sentito parlare di questa ricerca di Edimburgo o di altri studi simili? Condividi le tue informazioni nei commenti, e aiutaci a fare luce su queste affascinanti prospettive! Nel frattempo, continuiamo a sostenere la ricerca scientifica per trovare soluzioni contro l’Alzheimer.Fonti:

  • Hampel, H., et al. (2013). “Lithium trial in Alzheimer’s disease: a randomized, single-blind, placebo-controlled, multicenter 10-week study.” Journal of Alzheimer’s Disease, 36(4), 689-700. [DOI: 10.3233/JAD-130103]
  • Matsunaga, S., et al. (2019). “Lithium as a Treatment for Alzheimer’s Disease: A Systematic Review and Meta-Analysis.” Frontiers in Aging Neuroscience, 11, 163. [DOI: 10.3389/fnagi.2019.00163]
  • Scuteri, D., et al. (2017). “Aromatherapy and Aromatic Plants for the Treatment of Behavioural and Psychological Symptoms of Dementia in Patients with Alzheimer’s Disease.” Frontiers in Pharmacology, 8, 429. [DOI: 10.3389/fphar.2017.00429]

E102: Il Colorante Giallo che Mangiamo Ogni Giorno (e che forse dovremmo evitare)

Il colorante E102, conosciuto anche come tartrazina, è uno dei più comuni coloranti artificiali usati nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica. Ha un colore giallo brillante e si trova ovunque: dalle caramelle ai farmaci. Ma quali sono i suoi effetti reali sulla salute? E perché alcuni Paesi lo hanno vietato?

In questo articolo approfondiamo cosa è l’E102, dove si trova, quali rischi comporta e cosa dicono le autorità scientifiche in merito.


Cos’è la Tartrazina (E102)

La tartrazina è un colorante sintetico azoico di colore giallo limone, derivato dal petrolio. Viene identificata in Europa con la sigla E102 ed è usata per rendere visivamente più appetibili cibi e bevande.

Nome chimico: Trisodium 5-hydroxy-1-(4-sulfonatophenyl)-4-(4-sulfonatophenylazo)-pyrazole-3-carboxylate
Origine: Sintetica
Colore: Giallo brillante


Dove si trova il colorante E102

L’E102 è largamente impiegato in prodotti industriali, tra cui:

  • Bevande gassate (come la limonata)
  • Caramelle e snack colorati
  • Gelati e dessert confezionati
  • Prodotti da forno industriali
  • Senape, sottaceti, zuppe pronte
  • Integratori alimentari e farmaci (in capsule e compresse)

Effetti collaterali e controversie scientifiche

Numerosi studi hanno sollevato dubbi sulla sicurezza della tartrazina, in particolare per alcune fasce di popolazione sensibili.

Iperattività nei bambini

Uno studio commissionato dalla Food Standards Agency britannica, noto come Studio Southampton (McCann et al., The Lancet, 2007), ha suggerito una correlazione tra il consumo di alcuni coloranti artificiali (tra cui E102) e un aumento dei comportamenti iperattivi nei bambini.

Fonte: McCann, D. et al. (2007). Food additives and hyperactive behaviour in 3-year-old and 8/9-year-old children in the community: a randomised, double-blinded, placebo-controlled trial. The Lancet, 370(9598), 1560–1567. DOI:10.1016/S0140-6736(07)61306-3

Reazioni allergiche

La tartrazina può provocare reazioni avverse in soggetti asmatici o intolleranti all’aspirina. I sintomi includono orticaria, prurito, difficoltà respiratorie e congestione nasale.

Fonte: Stevenson, D. D. et al. (1987). Aspirin-sensitive asthma: spectrum of adverse reactions to NSAIDs. Immunology and Allergy Clinics of North America, 7(4), 815–833.


Regolamentazione in Europa

L’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) ha stabilito per l’E102 una dose giornaliera accettabile (DGA) pari a 7,5 mg per kg di peso corporeo.

Dal 2010, in base al Regolamento (UE) 1333/2008, i prodotti contenenti E102 devono riportare in etichetta la seguente dicitura:

“Può influire negativamente sull’attività e l’attenzione dei bambini”

Alcuni Paesi europei come Norvegia e Austria ne avevano vietato l’uso, anche se tali divieti sono stati poi armonizzati con la normativa UE.


Alternative naturali all’E102

Per chi desidera evitare la tartrazina, esistono coloranti naturali privi di rischi noti:

  • Curcumina (E100) – estratta dalla curcuma
  • Beta-carotene (E160a) – derivato da carote e frutta
  • Cartamo o zafferano – usati nei prodotti biologici

Conclusione: dovremmo evitarlo?

Anche se legalmente autorizzato, l’E102 rimane un additivo controverso. Chi è sensibile, o chi vuole ridurre il carico chimico nella dieta quotidiana, farebbe bene a evitarlo. Leggere attentamente le etichette è il primo passo per ridurne l’assunzione.

Se hai bambini piccoli o sei soggetto ad allergie o asma, è consigliabile preferire alimenti senza coloranti artificiali o con coloranti naturali.


Fonti scientifiche e approfondimenti

  1. McCann D. et al. (2007). The Lancet
  2. EFSA Journal 2009; 7(11):1331. EFSA
  3. Stevenson DD. et al. (1987). Immunol Allergy Clin North Am.
  4. Regulation (EU) No 1333/2008 on food additives

Caffè e Cervello: Benefici, Rischi e Cosa Dice la Scienza sul Consumo di Caffeina

Il caffè è una delle sostanze psicoattive più diffuse al mondo. Viene consumato quotidianamente per aumentare energia, attenzione e produttività. Tuttavia, nonostante i suoi effetti positivi noti, esistono anche rischi e controindicazioni sul piano neurologico e comportamentale.
In questo articolo esploriamo, alla luce delle evidenze neuroscientifiche:

  • Come la caffeina agisce sul cervello umano
  • Quali benefici cognitivi e protettivi può offrire
  • Quali rischi comporta un uso eccessivo o disordinato
  • Le fonti accademiche più autorevoli a supporto

Come agisce il caffè sul cervello

La caffeina è una metilxantina che agisce principalmente come antagonista dei recettori dell’adenosina (A1 e A2A).
L’adenosina è una molecola che si accumula nel cervello durante la veglia e induce sonnolenza. Bloccando questi recettori, la caffeina riduce la sensazione di fatica e stimola indirettamente il rilascio di:

  • Dopamina
  • Noradrenalina
  • Acetilcolina

Questa cascata neurochimica aumenta l’attività neuronale in aree come la corteccia prefrontale (attenzione esecutiva) e i gangli della base (motricità e vigilanza).
Il risultato percepito è una maggiore concentrazione, reattività mentale e resistenza alla fatica cognitiva.


Benefici del caffè sul cervello

1. Potenziamento cognitivo

Numerosi studi hanno dimostrato che la caffeina migliora:

  • tempo di reazione
  • attenzione sostenuta
  • memoria a breve termine

Una review condotta da Einöther e Giesbrecht (2013) pubblicata su Nutrition Bulletin ha mostrato che dosi moderate di caffeina migliorano le prestazioni cognitive, soprattutto in condizioni di sonnolenza o privazione di sonno.

2. Effetto neuroprotettivo

Secondo uno studio longitudinale di Eskelinen e Kivipelto (2010), pubblicato sul Journal of Alzheimer’s Disease, il consumo regolare di 3–5 tazze di caffè al giorno tra i 40 e i 60 anni è associato a una riduzione del rischio di Alzheimer e demenza fino al 65%.
Inoltre, la caffeina protegge i neuroni dopaminergici, riducendo il rischio di sviluppare il morbo di Parkinson, come evidenziato da Ascherio et al. (2001) in Annals of Neurology.

3. Effetti sull’umore

A basse dosi, la caffeina stimola il rilascio di dopamina nel nucleo accumbens, una regione cerebrale coinvolta nel sistema della ricompensa. Questo può contribuire a un lieve effetto antidepressivo e a un miglioramento dell’umore, soprattutto in persone affaticate o con lieve sintomatologia depressiva.


Rischi del caffè sul cervello

1. Sovrastimolazione del sistema nervoso

Il consumo eccessivo di caffeina (oltre i 400 mg al giorno, pari a circa 4-5 tazzine di espresso) può provocare:

  • irritabilità
  • nervosismo
  • tachicardia
  • aumento della pressione arteriosa
  • ansia o attacchi di panico

Uno studio pubblicato su Psychopharmacology (Smith, 2002) ha mostrato come l’assunzione acuta di caffeina in soggetti ansiosi potenzi la risposta ansiogena, attivando eccessivamente il sistema nervoso simpatico e la secrezione di cortisolo.

2. Insonnia e alterazione del ritmo circadiano

La caffeina ha un’emivita media di 5-6 ore (può arrivare a 8 nelle persone più sensibili).
Se assunta nel tardo pomeriggio o in serata, può interferire con la produzione di melatonina e disturbare il sonno profondo.
Drake et al. (2013), in uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Sleep Medicine, hanno dimostrato che l’assunzione di 400 mg di caffeina fino a 6 ore prima di andare a dormire riduce significativamente la qualità e la durata del sonno.

3. Dipendenza e tolleranza

La caffeina non crea dipendenza fisica nel senso stretto (come oppiacei o nicotina), ma può generare una dipendenza psicologica e una tolleranza progressiva.
Dopo un uso regolare, gli effetti stimolanti si attenuano, mentre l’astinenza (anche di 12–24 ore) può provocare:

  • mal di testa
  • irritabilità
  • stanchezza
  • difficoltà di concentrazione

Juliano & Griffiths (2004) hanno classificato la “caffeine withdrawal” come una sindrome clinicamente significativa, documentata in numerosi studi controllati.


Le fonti scientifiche più rilevanti

Ecco una selezione di studi accademici e articoli peer-reviewed che supportano le informazioni contenute in questo articolo:

  • Einöther, S. J. L., & Giesbrecht, T. (2013). Caffeine as an attention enhancer: reviewing existing evidence. Nutrition Bulletin, 38(1), 95–118.
  • Eskelinen, M. H., & Kivipelto, M. (2010). Caffeine as a protective factor in dementia and Alzheimer’s disease. Journal of Alzheimer’s Disease, 20(s1), S167–S174.
  • Ascherio, A., Zhang, S. M., et al. (2001). Prospective study of caffeine consumption and risk of Parkinson’s disease in men and women. Annals of Neurology, 50(1), 56–63.
  • Smith, A. (2002). Effects of caffeine on human behavior. Food and Chemical Toxicology, 40(9), 1243–1255.
  • Drake, C., Roehrs, T., et al. (2013). Caffeine effects on sleep taken 0, 3, or 6 hours before going to bed. Journal of Clinical Sleep Medicine, 9(11), 1195–1200.
  • Juliano, L. M., & Griffiths, R. R. (2004). A critical review of caffeine withdrawal: empirical validation of symptoms and signs, incidence, severity, and associated features. Psychopharmacology, 176(1), 1–29.

Conclusione

Il caffè, se assunto in dosi moderate e nei momenti giusti della giornata, può avere effetti positivi su attenzione, memoria, umore e prevenzione neurodegenerativa.
Tuttavia, il consumo eccessivo o disordinato può compromettere il sonno, aumentare l’ansia e alterare il funzionamento neuroendocrino.

La chiave sta nella moderazione e nella personalizzazione: ogni cervello ha una diversa sensibilità alla caffeina.

Melatonina e Cervello: Benefici, Rischi e Come Stimolarla Senza Danni

La melatonina è spesso conosciuta come “l’ormone del sonno”, ma la realtà è molto più complessa e affascinante. Questo piccolo ma potente composto regola il nostro orologio biologico, protegge il cervello, modula l’umore e persino il sistema immunitario. Ma quando la assumiamo dall’esterno (come integratore), sappiamo davvero cosa stiamo facendo?

In questo articolo analizziamo in modo chiaro e scientificamente fondato:

  • quali sono i veri benefici dell’aumento della melatonina nel sangue;
  • cosa significa “sopprimere la produzione endogena tramite feedback negativo”;
  • e se esistono fonti accreditate a conferma.

Perché la melatonina è così importante per il cervello?

La melatonina è prodotta principalmente dalla ghiandola pineale, soprattutto durante la notte, e ha un ruolo fondamentale nella regolazione del ritmo circadiano. Ma i suoi effetti vanno ben oltre il semplice addormentamento.

Benefici accertati:

  1. Regolazione del sonno
    La melatonina segnala al cervello che è ora di dormire, abbassando la temperatura corporea e riducendo l’attività del sistema nervoso simpatico. Favorisce così un sonno più rapido e profondo, in particolare nelle fasi NREM.
  2. Azione antiossidante e neuroprotettiva
    È un potente scavenger di radicali liberi e sostiene i mitocondri, riducendo lo stress ossidativo, un fattore chiave in malattie neurodegenerative come Alzheimer, Parkinson e SLA.
  3. Effetto ansiolitico e regolazione dell’umore
    Modula l’attività dell’amigdala e della corteccia prefrontale dorsolaterale, facilitando il rilassamento e riducendo i livelli di ansia. È efficace anche nei disturbi dell’umore stagionali (SAD).
  4. Supporto immunitario
    Migliora la funzione delle cellule T e NK, potenziando la risposta immunitaria notturna in modo naturale.

Melatonina esogena: attenzione al “feedback negativo”

Molti integrano la melatonina per dormire meglio. Ma pochi sanno che un’assunzione eccessiva o fuori orario può avere l’effetto opposto: “spegne” la produzione naturale del corpo. Questo è un classico esempio di feedback negativo.

Che cos’è il feedback negativo?

È un meccanismo di autoregolazione dell’organismo. Se nel sangue c’è già abbastanza melatonina (perché l’hai assunta esternamente), il cervello blocca la produzione endogena per non creare un eccesso.
In particolare:

  • l’ipotalamo rileva il livello ematico di melatonina;
  • se è alto, non stimola più la ghiandola pineale;
  • nel tempo, il corpo può diventare meno efficiente nel produrla naturalmente.

Rischi dell’uso scorretto:

  • Desensibilizzazione dei recettori MT1 e MT2;
  • Sonno frammentato o sonnolenza diurna;
  • Sfasamento del ritmo circadiano, specialmente se assunta troppo tardi;
  • Dipendenza psicologica o fisiologica dall’integratore.

Le fonti scientifiche: cosa dice la ricerca?

Ecco alcuni riferimenti affidabili che confermano quanto detto:

  • Reiter et al. (2010)Journal of Pineal Research: documenta l’effetto antiossidante e neuroprotettivo della melatonina.
  • Arendt (2006)Chronobiology International: spiega il ruolo dell’ormone nel regolare il ritmo circadiano umano.
  • Brzezinski (1997)NEJM: analizza gli effetti clinici sull’insonnia e sulla salute mentale.
  • Lewy et al. (2003)Journal of Biological Rhythms: mostra come l’assunzione esogena possa inibire la produzione interna.
  • Buscemi et al. (2006)AHRQ Report: valutazione completa di efficacia e sicurezza.

Questi studi sono pubblicati su riviste peer-reviewed ad alto impatto e disponibili online con DOI e abstract completi.

Come stimolare la melatonina naturalmente?

Ecco 3 strategie semplici e validate per potenziare la produzione senza interferire:

  1. Esposizione alla luce solare al mattino, per rafforzare il ritmo circadiano.
  2. Oscuramento completo la sera: evitare luci blu e usare luci calde o rosse.
  3. Routine del sonno regolare, anche nei weekend, per sincronizzare il sistema SCN-pineale.

Conclusione

La melatonina è un alleato straordinario del cervello, ma va usata con intelligenza.
Aumentarla nel sangue può migliorare sonno, memoria, immunità e umore — ma farlo artificialmente, senza criterio e per lunghi periodi, può compromettere la produzione naturale e creare squilibri.

Ridere aiuta a tenere lontani ansia e attacchi di panico

La risata è uno dei modi migliori per far tornare una persona alla realtà da uno stato mentale ansioso. Il problema è che man mano che invecchiamo, abbiamo meno opportunità di farci una buona risata, il che è un vero peccato se consideri quanto è di beneficio per la nostra salute.

I dati stanno aumentando circa gli effetti positivi che una risata può avere. Addirittura i dotti chiamano il ridere “jogging interiore” perché induce cambiamenti positivi nel tuo corpo, come i seguenti:

  • I livelli di ormoni dello stress come il cortisolo diminuiscono durante gli attacchi di risa.
  • Diminuisce la pressione sanguigna e aumenta il flusso sanguigno vascolare.
  • Aumenta la tua tolleranza al dolore grazie al rilascio di endorfine.
  • Aumenta la quantità di aria carica di ossigeno che inspiri e stimola il tuo cuore, i polmoni e i muscoli.

Contattando a riguardo uno psicologo a brescia per approfondimenti a riguardo (che citassero però fonti affidabili), abbiamo ricevuto una risposta relativa a Robin Dunbar, psicologo a Oxford, il quale ha condotto diversi studi sul modo in cui la risata può aumentare la resistenza al dolore. Ha dimostrato che la risata è veramente potente solo quando è una risata fisica. Questo significa che non è sufficiente trovare qualcosa di divertente (humor cerebrale); devi avere una buona risata fisica per rilasciare abbastanza endorfine da ottenere l’effetto di star bene.

Devi anche ridere insieme agli altri per ottenere il migliore risultato. Così come nello scegliere un partner per l’allenamento, ottiene il beneficio della connessione sociale oltre al valore intrinseco della risata.

La cosa interessante del ridere è che, così come per lo sbadigliare, è contagioso. Non devi neanche sapere per cosa stai ridendo, tanto per cominciare. Devi solo dare a te stesso il permesso di farlo.

A mio avviso uno dei posti miglior in cui passare il tuo tempo libero se soffri di ansia o di panico è a uno spettacolo di cabaret. Funziona bene perché anche solo essere in una stanza piena di gente che sta ridendo ha un effetto contagioso. Non importa se non trovi nemmeno che i comici siano così divertenti. Vacci solo con l’esplicito intento di ridere. Troverai che se entri con quell’atteggiamento, allora quando tutti cominceranno a ridere, parteciperai anche tu.

Sono una grande sostenitrice dell’usare la risata per migliorare il tuo umore e ridurre i sentimenti ansiosi. Conosco molte persone che hanno trasformato la loro ansia facendo anche solo questo! Pensa alle tue serate fuori a vedere commedie come terapia essenziale, non meramente come intrattenimento. Rendila un appuntamento con il tuo partner o un’occasione per socializzare coi tuoi amici.

Se una commedia non è fattibile per te, allora la seconda cosa migliore è avere amici intorno che sai che ti faranno ridere e giocare a un gioco di società (ad esempio, il gioco dei mimi) o guardare un film divertente.

La maggior parte delle persone non faranno caso al consiglio di utilizzare la risata, o lo considereranno frivolo, ma ti incoraggio almeno a provarlo e a prendere nota di come ti senti il giorno successivo. Di nuovo, è uno di quei consigli semplici che sono facili da mettere in pratica e incredibilmente piacevoli da eseguire. Non lasciare che il piccolo sforzo che richiede ti fermi dal sentirti potenzialmente così meglio.

Come smettere di provare vergogna per il tuo disturbo d’ansia

L’ansia è una fonte di vergogna ben radicata per la maggior parte delle persone, e la vergogna è un sentimento tossico che ci tiene bloccati e che ritarda la nostra guarigione completa dal disturbo d’ansia. Per cominciare a guarire la nostra ansia, dobbiamo rinunciare al nostro senso di vergogna riguardo essa. Se la esponiamo alla luce del giorno, la vedremo per la menzogna che è.

La vergogna si manifesta in modi diversi per le persone ansiose: vergogna di essere deboli. Vergogna di fallire come madre o padre o capo o amico. Vergogna di non essere in grado di sostenere la tua famiglia e portare a casa uno stipendio. Vergogna di non essere in grado di uscire dalla propria zona di sicurezza o di andare a fare shopping da solo senza la persona che ti dà sicurezza.

La maggior parte di questa vergogna è alimentata da un dialogo interiore negativo. Per esempio, un padre che sta affrontando l’ansia potrebbe pensare: “Come posso io, l’uomo della famiglia, non essere in grado di portare i miei figli a una partita di pallone?”

Uno studente universitario potrebbe pensare: “Tutti gli altri sono così estroversi, e io ho paura di sedere anche solo pochi minuti in aula.”
Una neomamma potrebbe pensare: “Ho questo meraviglioso bambino che adoro così tanto, ma questi pensieri ansiosi mi stanno rubando la gioia che dovrei poter sentire. Come posso pensare certe cose? Sono una madre terribile?”

Ci sono persone che non nascondono la loro ansia e che sembrano felici di parlarne, ma anche in quel caso la conversazione tende a rimanere a un livello superficiale. Se scavi un po’ più a fondo tuttavia, inevitabilmente troverai quella stessa vergogna latente, una vergogna che non vogliono condividere con nessuno, cose che non vogliono ammettere per timore di essere giudicati.

Spesso la vergogna segna davvero nel profondo. Una volta ricevetti una telefonata da una donna che voleva parlare dei suoi attacchi di panico e della sua ansia costante. Lei viveva con suo marito e i suoi figli in un piccolo paese. Mi disse come l’ansia e gli attacchi di panico stessero distruggendo la qualità della sua vita, e come ogni giorno si stesse trasformando in un’intensa battaglia. Aveva l’abitudine di viaggiare tutto intorno al mondo per lavoro come responsabile vendite per una grande azienda, ma ora trovava difficile uscire dalla porta di casa per paura di avere un attacco di panico.

Le chiesi se avesse detto a qualcuno del suo problema con l’ansia a parte suo marito e il suo dottore. Mi rispose che aveva parlato con qualche amico, ma in generale teneva la cosa per sè, temendo che gli altri cominciassero a spettegolare a riguardo. Quindi le chiesi cosa davvero la turbasse di più della sua ansia.
Si irritò un po’ e disse, “Ma non mi stavi ascoltando? Non riesco ad uscire di casa a causa di questo, e ho dei bambini ai quali badare. Cosa potrebbe esserci di peggiore di questo?” “No, quello lo capisco,” dissi. “Ma cosa DAVVERO ti turba della tua ansia?” Ci fu un lungo silenzio. Poi, dopo un attimo disse “Non uscire di casa non è che la metà del problema. C’è tutto il resto che non potrei mai confessare a nessuno…mi vergogno troppo.”
“Beh, mettimi alla prova,” dissi. “Sono praticamente una sconosciuta, solo qualcuno all’altro capo del telefono. Non credo che ci vedremo mai di persona. Non hai niente da perdere.”
“Okay…,” disse. “Beh, in fondo ho paura di perdere la testa. Come se stessi perdendo il contatto con la realtà. Non sono mai presente con i miei figli perchè tutto il tempo penso alle mie idee ansiose.”

Le dissi che le persone spesso riescono ad ammettere col proprio dottore o con gli amici più cari il loro problema con l’ansia e gli attacchi di panico, ma raramente ammettono le cose che davvero li sconvolgono maggiormente. Nascondono le loro paure più grandi così in profondità e soffrono in un terribile silenzio.
Per esempio, è normale per queste persone avere timore di prendere in mano un coltello da cucina nel caso in cui impazziscano e finiscano per accoltellare qualcuno o di diventare ansiosi dietro il volante di un’auto per timore di sbandare in modo incontrollato e incrociare il traffico in senso opposto. Oppure odiano uscire in balcone per timore di essere presi da un momento di pazzia e buttarsi giù. Altri ignominiosi pensieri ansiosi hanno a che fare con proibiti, aggressivi, o pensieri sessuali perversi o dubbi riguardo alla propria identità sessuale.

Così tante persone soffrono in silenzio a causa di questo tipo di importuni pensieri ansiosi, e vorrei che tutti avessero la possibilità di capire quanto comuni siano. Tali pensieri sono molto diffusi e non sono un segno di malattia mentale, ma piuttosto il risultato di un alto livello di ansia, ormoni dello stress, sfinimento, e un’immaginazione iperattiva. Ecco qua. (Parlo di questo tipo di pensieri importuni nel capitolo “Smetti di temere i pensieri ansiosi.”)

Esiste un episodio di un uomo che davvero riassume il tipo di vergogna della quale soffre la gente con disturbi d’ansia. Tommaso, che soffriva di frequenti attacchi di panico, era il padre di un ragazzino di dieci anni. Ogni weekend si rimproverava per non avere il coraggio di fare certe cose con suo figlio. Cose come andare a pesca o in tenda, come aveva fatto lui col padre crescendo.
Una volta mi raccontò di una recente uscita in occasione di un concerto pop, avvenuta poco prima che parlassimo. Andavano a vedere una popolare band suonare in un locale della zona con alcuni degli amici di suo figlio e i loro genitori. I biglietti non erano economici e il figlio “non vedeva più l’ora di andare a questo evento fighissimo”.

Erano seduti nel bel mezzo della platea quando Tommaso cominciò a sentire le spiacevoli sensazioni di costrizione al petto che in genere gli scatenavano gli attacchi di panico. Fece del suo meglio per ignorarlo ma non appena la band salì sul palco e la folla cominciò a gridare sentì l’ansia montare velocemente e avvertì il bisogno di uscire di lì. Il problema era che erano tutti insieme e la sensazione di essere intrappolato con quelle persone sul posto peggiorava la sua ansia.

Resistette ancora qualche minuto, poi improvvisamente si alzò e disse a suo figlio di seguirlo fuori. Mentre se ne andavano spiegò agli altri genitori che suo figlio non si sentiva bene e che sarebbero ritornati a casa. Questo sorprese gli altri, dato che il figlio era stato di ottimo umore tutta la sera.
Quando furono fuori, gli occhi di suo figlio erano pieni di lacrime mentre chiedeva a suo padre che cosa non andasse. Perchè aveva mentito? Perchè dovevano tornare a casa?

Tommaso non seppe come rispondere e bonfonchiò qualcosa riguardo a qualcosa di urgente che doveva fare, mentre camminavano velocemente verso la macchina e guidavano verso casa. L’intero incidente riempì Tommaso di un tale senso di vergogna che scalfì il suo senso profondo di autostima.

Per mettere fine alla vergogna, devi smascherarla. Prima devi ammetterlo chiaramente con te stesso. Devi avere chiaro in testa cos’è che non potresti mai ammettere con qualcun altro. A quel punto può cominciare la guarigione. La vergogna è comunque una menzogna di cui non hai bisogno. Quando la esponi alla luce del giorno, perde la sua presa perchè viene mostrata per quello che è: un’illusione.

Non c’è niente di cui vergognarsi nel soffrire di un problema di ansia. Sei in buona compagnia. Si dice che alcune delle menti migliori del mondo abbiamo sofferto di ansia, come lo scienziato Charles Darwin e Sir Isaac Newton. È ritenuto che artisti e scrittori famosi come Alfred Lord Tennyson, T.S. Eliot, Marcel Proust, Emily Dickinson (la lista è davvero infinita) ne abbiano sofferto in modo analogo.

Il collegamento tra creatività e ansia è assodato. La ricerca mostra che le persone che soffrono di problemi d’ansia tendono a ottenere un punteggio superiore alla media in intelligenza, creatività e sensibilità. Quello che accade, fortunatamente, è che tutte quelle caratteristiche positive possono ritorcersi su sé stesse quando lo stress e l’ansia si manifestano. Una mente acuta e intelligente corre a diagnosticare qualsiasi sensazione fisica inusuale, e quando non individua una risposta, viene sopraffatta dall’ansia e giunge a conclusioni irrazionali.

Deepak Chopra ha scritto: “Il modo migliore di utilizzare l’immaginazione è la creatività. Il modo peggiore di utilizzare l’immaginazione è l’ansia.”

Un carattere sensibile con una vena creativa spesso usa l’immaginazione per mettere insieme scenari spaventosi che sembrano usciti da un film horror. Quanto spesso avete provato una sensazione e poi avete lasciato la vostra immaginazione scatenarsi pensando ad ogni cosa possibile che potevate avere?

Vuoi migliorare la tua vita? Puoi iniziare già da questo Weekend.

  1. Fai ordine. Perché stai ancora conservando quei biglietti d’amore che ti ha scritto l’ex anni fa? Stanno occupando spazio nel tuo mondo materiale ed occuperanno anche quello emozionale. Il disordine ti influenza negativamente. Non hai mai notato di essere molto più produttivo quando lavori su una scrivania pulita? Prenditi un weekend per sbarazzarti dell’immondizia che hai accumulato negli anni. Trova un piccolo posto in casa dove poter mettere i rifiuti che devi per forza tenere. Disordine significa caos.
  1. Smettila di preoccuparti di ciò che pensano gli altri. Smettila di pensare a ciò che gli altri pensano di te o delle tue scelte, inclusi i tuoi genitori. Mentre rimugini sul fatto di cambiare lavoro, di fare una vacanza diversa dal solito, o di cambiare casa, vedere e considerare le tue decisioni con gli occhi degli altri ti fa sprecare tempo ed energia.
  1. Stacca la spina. Ci sta lasciare stare il tuo telefono per una sera; i social media saranno ancora là al tuo ritorno. Postare costantemente dove ti trovi e quanto ti diverti può diventare estenuante, oltre a sottrarti dal momento che stai vivendo. Finisci per vivere le esperienze attraverso lo schermo del tuo smartphone al posto di godertela in prima persona.
  1. Fai del volontariato. Tutti i primi dell’anno dico che farò qualcosa di buono per l’umanità. Ma non succede mai. Ma! Ci sono studi dimostrano che fare volontariato ti fa bene sia fisicamente che psicologicamente. Anche fare volontariato per poco tempo ci dà un impulso positivo, quindi dedicare qualche ora ad una causa degna è una mossa vincente.
  1. Fai qualcosa che hai paura di fare. Se hai paura di cantare in pubblico vai in un bar dove fanno karaoke e canta a squarciagola. Se hai sempre voluto provare a fare box ma hai sempre avuto paura di fare schifo, allora iscriviti ad un corso di box. Metterti in gioco ti dà un senso di soddisfazione, anche se dovessi fallire. Il beneficio che ne trai non è il successo, è il fatto di uscire dalla tua zona di comfort. La tua vita ne sarà rinvigorita e ti sentirai senza paura, anche se dovessi essere pessimo nel fare ciò che fai.
  1. Scrivi una lettera ad un amico che abita lontano. Sì, proprio una lettera scritta a mano, non una mail: pensa a quanto si divertirà il tuo amico a ricevere la lettera; e probabilmente riceverai presto una lettera di risposta. Tutti sanno che ricevere una lettera “alla vecchia maniera” è divertente.
  1. Cucina un piatto buonissimo. Se cucini regolarmente, mettiti alla prova e cucina un piatto che non hai mai fatto prima, che sia difficile o esotico. Se invece non conosci la differenza tra una padella per friggere ed una casseruola, scegli qualcosa di delizioso ma semplice. La sfida di creare qualcosa che normalmente non faresti ti dà una gioia vera, così come mangiare ciò che cucini.
  1. Passa del tempo con un cane. Gli animali e, in modo particolare, i cani, hanno un punto di vista sul mondo veramente semplice. O gli piace qualcosa così tanto da annusarne e leccarne tutte le parti, o lo odiano e lo lasciano stare. Senza offendersi, senza arrabbiarsi, senza pensare a dove si trovano. È sufficiente un po’ di amore e un po’ di bavetta di cane per trasformare il peggiore dei musi in un sorriso. Qualche ora a giocare e pettinare un amico peloso può portare una dose salutare di genuina felicità.
  1. Tieniti in forma. Sia che questo significhi andare in bicicletta ben attrezzati oppure correre disordinatamente intorno al quartiere. Scientificamente parlando, la fatica fisica rilascia gli ormoni della felicità chiamati endorfine. Una sfida sportiva può alleggerire il carico di stress che ci portiamo appresso. C’è qualcosa di stranamente soddisfacente nel sudare e puzzare così tanto per aver faticato duramente.
  1. Immergiti nella natura. A meno che tu non viva in un luogo sperduto, le probabilità che durante la settimana debba affrontare lo stress del traffico sono alte. Troppo caos, troppo inquinamento e troppe persone stupide. Vai da qualche parte dove sei circondato da alberi, laghi o montagne, anche se si tratta solamente di un parco in città. Stare seduti al sole nell’erba con qualche snack e della buona compagnia puoi aiutarti a ritrovare l’equilibrio. Alla fine, porterà del colore nella tua vita.

Mangiare Pesce Crudo è Rischioso Per La Salute ?

Nel mese di Agosto un uomo di Chicago ha fatto causa ad un ristorante che gli ha servito del Salmone contaminato dal parassita Taenia solium (verme solitario), denunciando come il ristorante non avesse supervisionato il personale al fine di trattare correttamente il pesce e permettendo ai clienti di consumare cibo non sicuro.

Anche in Italia il consumo di pesce crudo è in aumento, utilizzato per esempio nella preparazione di Sushi e Sashimi; tuttavia i rischi per la salute sono rilevanti solamente se i ristoratori non rispettano le norme sanitarie: la legge prevede che i pesci consumati crudi devono essere lasciati nel congelatore per 24 ore a -18 gradi. Questo processo è fondamentale per l’uccisione di tutti i parassiti.

Chi ha l’abitudine di preparare il pesce crudo a casa propria deve quindi considerare che rischia di esporsi a diversi potenziali rischi per la salute; primo tra tutti l’Anisakidosi.

L’anisakis è un verme di circa 3 cm, che può infestare praticamente tutti i pesci ma che è presente nell’85% delle aringhe, nell’80% delle triglie e nel 70% dei merluzzi. Il vermetto provoca dolori addominali, diarrea, nausea, vomito, perforazioni dell’intestino e dello stomaco. Ovviamente in luogo del congelamento l’altra soluzione è la cottura. Il succo di limone o l’aceto non bastano ad uccidere i parassiti, occorre appunto la refrigerazione prolungata o il calore.

I sintomi si manifestano entro 7 giorni dall’ingerimento di cibi marini con la comparsa di dolori addominali, diarrea e febbre. Le larve possono anche penetrare nella parete gastrica o intestinale con formazione di lesioni ascessuali o più frequentemente granulomatose (forme croniche di anisakidosi), con emorragia, necrosi che possono condurre all’occlusione intestinale, sino alla perforazione dell’organo con peritonite.

La diagnosi di certezza di anisakidosi scatta con l’individuazione del parassita. Ma non è sempre facile. Molti casi si prestano a essere scambiati per altre patologie gastrointestinali: rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn, neoplasia intestinale o anche appendicite acuta. Quando l’anisakidosi si presenta nella forma complicata, tale da causare una occlusione intestinale, è necessario l’intervento chirurgico.

“Non c’è da fare terrorismo”, avverte il professor Gidaro, direttore della prima clinica chirurgica dell’ospedale di Pescara. “Diciamo però che è come il fumo, è un problema di informazione: soltanto da un po’ si sta prendendo coscienza che le sigarette fanno male, così bisogna sapere che mangiare pesce crudo può spesso provocare guai seri”. “Ovvio che non tutti coloro che mangiano pesce crudo incorrono nei problemi capitati a tanti nostri pazienti (32 i casi rilevati tra Chieti e Pescara negli ultimi tre anni). Con questo voglio dire che non tutti sono costretti a operarsi d’urgenza però sono molto frequenti altre conseguenze, che spesso rimangono silenti. E’ il caso delle allergie al pesce o gli shock anafilattici che queste allergie sono in grado di provocare”.

E’ per questo che a Pescara si è costituita la Sisan, una società che si occuperà del problema dell’anisakis cercando di rilevarne l’incidenza con uno studio epidemiologico, e tentando di avviare una rigorosa campagna di prevenzione. “Qui bisogna subito sgomberare il campo da un equivoco”, prosegue Gidaro, “l’anisakis nel pesce c’è sempre stata, dunque non è un problema di inquinamento del mare. La differenza è che, diversamente dal passato, siamo più consapevoli dei danni che possiamo causare alla nostra salute quando mangiano pesce crudo senza prendere precauzioni”.

APPROFONDIMENTI e RISORSE ESTERNE

http://ilcentro.repubblica.it/dettaglio/Il-verme-del-pesce-crudo/1337203?edizione=EdRegionale

Gli Effetti dello Stress Cronico

Cefalee, disordini alimentari, disturbi del sonno, gastriti, coliti, stanchezza eccessiva, irritabilità, difficoltà di concentrazione, perdita di capelli tra le donne; lo stress viene riconosciuto come causa di queste e molte altre problematiche.

La natura ha dotato i nostri antenati preistorici di uno strumento che li aiutasse ad affrontare le minacce: un sistema di rapida attivazione che focalizza l’attenzione, accelera il battito cardiaco, dilata i vasi sanguigni e prepara i muscoli alla fuga o al combattimento. L’essere umano moderno è invece soggetto in maniera continua a stress ma di natura differente: traffico, scadenze, pagamenti, problemi lavorativi, litigi coniugali, inquinamento acustico ed altre pressioni considerate ormai come parte integrante della società. Molti organi nel nostro corpo vengono perciò stimolati da un flusso considerevole e continuo di segnali di allarme, inviati al fine di alzare il livello di attenzione, che possono danneggiarli e compromettere lo stato generale di salute.

Cosa succede nel cervello e nel corpo quando siamo sotto stress ? Quali organi vengono attivati ? Quando i segnali di allarme necessari per alzare il livello di attenzione iniziano a causare problemi ? Solo di recente sono stati formulati modelli coerenti di come lo stress cronico danneggi la salute, tuttavia le soluzioni atte ridimensionare il problema esistono.

Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha identificato molte parti del cervello e del corpo che vengono attivate in risposta ad una situazione di stress. Queste regioni analizzano i segnali sensoriali ed emotivi e comunicano con una vasta rete di nervi, organi, vasi sanguigni e muscoli, riposizionando le energie corporee al fine di affrontare e gestire la situazione.

Quando uno scenario fonte di stress si presenta, una piccola area al centro del cervello chiamata ipotalamo si occupa di gestire la situazione. Esso contiene diversi gruppi di neuroni, adibiti allo svolgimento di differenti compiti. Questi regolano il sonno e l’appetito, per esempio, e la concentrazione di alcuni importanti ormoni nel flusso sanguigno. Il gruppo di neuroni più importante è il nucleo paraventricolare (PVN), il quale ha il compito di secernere l’ormone di liberazione della corticotropina (CRH, da Corticotropin-Releasing Hormone), ed anche chiamato corticoliberina, un neurotrasmettitore che ha il compito di avviare una reazione in risposta alla situazione stressante.

L’ormone CRH è stato scoperto nel 1981 da Wylie Vale al Salk Institute for Biological Studies di San Diego e da allora è stato analizzato approfonditamente. E’ certo che il CRH controlli la reazione allo stress in due modi.

In primo luogo raggiunge gli organi attivando un’allerta neuro-ormonale (denominata anche “braccio-lungo”) ovvero un percorso dall’ipotalamo verso la ghiandola pituitaria (o ipofisi) del cervello e verso le ghiandole surrenali. Questo percorso è anche conosciuto come l’asse ipotalamico pituitario adrenale. Quando l’ormone CRH raggiunge l’ipofisi la stimola a rilasciare nel flusso sanguigno l’ormone adrenocorticotropico (ACTH). La prima conseguenza del rilascio dell’ormone ACTH nel sangue è l’attivazione delle ghiandole surrenali al fine di produrre e rilasciare ormoni glucocorticoidi. Solitamente il livello di questi ormoni nel sangue segue un ritmo preciso durante il giorno: elevato nel primo mattino e basso a fine giornata. Uno dei compiti più importanti è incrementare il glucosio nel sangue al fine di fornire energia per muscoli e nervi. Altri compiti importanti sono la regolazione del metabolismo glucidico e del ciclo sonno-veglia. Poichè questi ormoni regolano queste importanti funzioni il loro livello deve essere calibrato in maniera precisa, ecco perchè l’ipotalamo ha anche la possibilità di ridurne rapidamente il livello nel sangue.

L’ormone CRH fa si che i suoi effetti si manifestino anche tramite un percorso meno complesso denominato “braccio corto”. Una piccola ma importante regione nel cervello denominata  locus coeruleus situata  nel tronco encefalico, la zona dell’encefalo in prossimità del midollo spinale, ha in questo frangente una funzione paragonabile a quella delle stazioni di ritrasmissione (i cosiddetti ripetitori di segnale). Collega infatti l’ipotalamo con il sistema nervoso autonomo, il quale controlla tutti i processi fisiologici che avvengono indipendentemente dalla nostra volontà quali per esempio la respirazione, la regolazione della pressione sanguigna, la digestione e via dicendo.

Il sistema che regola la risposta allo stress ci permette di affrontare una situazione con maggiore efficienza ma quando lo stress quotidiano aumenta considerevolmente la sua stessa funzionalità può diventare inutilmente intensa e continua.

Tuttavia l’attivazione dello stato di allerta da parte dell’ipotalamo dovrebbe essere un evento straordinario, non la normalità. Quando la situazione di emergenza viene a cessare, il sistema di gestione dello stress deve essere rapidamente disattivato per permettere agli organi interessati di recuperare le energie. Ma quando le circostanze esterne stimolano continuamente la produzione di ormone CRH il corpo reagisce in continuazione senza aver modo di rilassarsi.
Questa sollecitazione continua rende il corpo più vulnerabile. Gli organi riproduttivi per esempio divengono meno efficienti. E’ stato appurato come le persone esposte a grandi sforzi fisici per vari anni risultino essere meno fertili. Il livello di testosterone negli uomini diminuisce, mentre il ciclo mestruale nelle donne diventa irregolare o perfino cessare. L’anoressia e digiuni prolungati hanno simili effetti dannosi sulla fertilità. In entrambi i casi il livello di CRH nel cervello va ad incrementarsi. I soggetti anoressici hanno livelli elevati degli  ormoni dello stress nel sangue e nelle urine anche nelle tarde ore del giorno, quando nelle persone sane i valori per tali ormoni risultano essere inferiori. Inoltre, quando le loro ipofisi vengono stimolate in via artificiale con dell’ormone CRH, i soggetti anoressici secernono minori quantità degli ormoni che regolano il sistema di risposta allo stress; ciò dimostra che il loro asse ipotalamico pituitario adrenale è già in una situazione di iperattività.
L’eccesso di CRH dovuto a situazioni di stress cronico riduce inoltre la secrezione di ormone della crescita, cosi come la concentrazione nel sangue delle sostanze che regolano l’effetto dell’ormone della crescita sugli organi. I bambini in situazioni di disagio e stress cronico crescono più lentamente. Negli adulti lo sviluppo di muscoli ed ossa, e la corretta funzionalità del metabolismo dei grassi sono ostacolati.
Uno dei principali effetti fisiologici dello stress coinvolge stomaco ed intestino. Quando l’asse ipotalamico pituitario adrenale è troppo attivo e contemporaneamente i livelli dell’ormone CRH nel cervello sono troppo alti, i segnali lungo il nervo vago vengono bloccati. Questo nervo ha come scopo principale quello di stimolare la produzione dell’acido gastrico e regolare i movimenti compiuti dallo stomaco e dall’intestino durante la fase della digestione (invia inoltre impulsi al cuore ed a vari muscoli motori).Altri studi recenti hanno scoperto che anche le vittime di violenze e di abusi sessuali, ovvero persone che hanno subito forti traumi psicologici con conseguenze a medio-lungo termine, soffrono spesso di disturbi della digestione. In questi soggetti, per la maggioranza giovani donne, l’asse ipotalamico pituitario adrenale è generalmente in stato di iperattività. Se questa condizione persiste per lungo tempo il metabolismo dei carboidrati muta. Il grasso corporeo si ridistribuisce: i depositi di grasso sottocutaneo si spostano verso l’addome; le cellule possono smettere di assorbire glucosio in risposta all’insulina, una condizione che può condurre il soggetto al diabete.
Una iperattività dell’asse ipotalamico pituitario adrenale può anche causare sintomi simili a quelli riscontrabili nelle malattie mentali. Infatti ricerche farmacologiche recenti hanno svelato elevati livelli di CRH hanno un ruolo importante nei casi di disordini mentali. Le persone depresse o predisposte ad attacchi di panico hanno generalmente livelli elevati di tale ormone nel sangue e nel liquido cerebrospinale.

Lo stress cronico fa male alla salute quindi, tuttavia lo stress non è tutto uguale. Una minima quantità di stress, chiamata anche stress positivo, è addirittura auspicabile in quanto ci tiene mentalmente e fisicamente pronti ed efficienti.
Ma allora quando la salute a rischio ?  Non esiste purtroppo una risposta valida per tutti. Non è facilmente quantificabile il livello di rumore sul posto di lavoro o il numero relazioni sentimentali naufragate che il nostro sistema di gestione dello stress può gestire senza alcuna conseguenza. Ciò che è certo è che prolungate condizioni di stress (definibili stress cronico) possono compromettere i nostri organi e la nostra salute.

CONSULENZA

L’articolo e’ stato redatto avvalendosi della consulenza della Psicologa Psicoterapeuta Dott.ssa Ernesta Zanotti

APPROFONDIMENTI e RISORSE ESTERNE

Scala dei Valori Stressanti (messa a punto dal Prof. T.H. Holmes e R.H. Rahe dell’Università di Washington nel 1967

PUNTI – EVENTI STRESSANTI

100 – Morte del Coniuge
73 – Divorzio
65 – Separazione fra Coniugi
63 – Carcerazione
63 – Morte di un familiare stretto
53 – Malattia o ferita
50 – Matrimonio
47 – Licenziamento
45 – Riconciliazione coniugale
45 – Pensionamento
44 – Malattia di un familiare
40 – Gravidanza
39 – Difficoltà sessuali
39 – Acquisizione di un nuovo membro della famiglia
39 – Riassesto negli affari
38 – Mutamento delle condizioni finanziarie
37 – Morte di un amico stretto
36 – Cambiamento di lavoro
35 – Aumento di conflittualità con coniuge
31 – Accensione di mutuo dall’importo considerevole
30 – Preclusione di mutuo o di un prestito
29 – Mutamento di responsabilità sul lavoro
29 – Abbandono della casa di un figlio
29 – Disaccordo con i parenti
28 – Rilevante successo personale
26 – Moglie inizia o cessa un lavoro
26 – Inizio o fine percorso scolastico
25 – Cambiamenti nelle condizioni di vita
24 – Correzioni delle prime abitudini di vita
23 – Fastidi con un superiore
20 – Mutamenti di orario e condizioni di lavoro